La storia di Chiara

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E’ da tanto tempo che non scrivo un articolo per il mio blog, sono stata un po’ trascinata dalle bellissime esperienze personali e professionali che mi si sono presentate. Sono diventata mamma e, a dispetto di quello che temevo, questo mi ha reso più ricca anche da un punto di vista professionale. E questa ricchezza è fatta di tanti nuovi progetti e collaborazioni e oggi voglio raccontarvene uno in particolare.

Era giugno di 4 anni fa quando una mia collega mi ha chiamata e mi ha detto :” Rache, dobbiamo aprire un’associazione che si occupi di disturbi alimentari.” L’entusiasmo che è seguito ha fatto in modo che a giugno dell’anno successivo avessimo un nome, un’équipe, uno statuto e un posto che poteva ospitarci. A ripensarci ora abbiamo davvero trottato e Il Centro Libenter è diventato parte della nostra quotidianità. Ad oggi le persone che collaborano con noi sono così tante che il venerdì a riunione dobbiamo stare molto vicini per stare nella stessa stanza. Questo ci dice che la mia collega aveva ragione, c’era davvero bisogno di un posto che accogliesse tutte quelle persone che sentono che corpo e cibo sono ferite dolorose nella loro vita.

Oggi abbiamo scelto di fare un passo in più per rispondere alle richieste di chi viene a chiuderci aiuto e la storia di Chiara è proprio quella che ci ha ispirati:

Chiara ha 23 anni ed è arrivata al Centro Libenter rassegnata dai suoi sintomi. Ci racconta di essere stanca, di “averle provate tutte”, di sentirsi sola e abbandonata alla noia .

Chiara ha difficoltà nella gestione delle relazioni familiari, vive una grande solitudine e un senso di vuoto. Dobbiamo motivarla alla cura: è così che l’associazione orienta chi ha un disturbo alimentare, cercando di comprendere le difficoltà da più punti di vista. Con Chiara proviamo per la prima volta anche un altro percorso: quello con l’affiancamento di un’educatrice, che sarà suo sostegno nelle sfide di tutti i giorni .

L’obiettivo è quello di aiutare Chiara a gestire i propri stress emotivi in modo che non siano dannosi per la sua salute e a riprendere contatto con se stessa e con le persone che la circondano.

Ad oggi abbiamo iniziato tutte le attività programmate , il suo tono dell’umore è in risalita ed è sicuramente più motivata al trattamento. Nei successivi tre mesi le faremo una proposta per un’attività di rieducazione alimentare, con un accompagnamento iniziale durante il momento della spesa, un successivo sostegno nella preparazione del pasto e il consumo di due pasti alla settimana insieme alla figura dell’educatore.

Vi racconto questa storia perché nel nostro lavoro é importante fare rete e utilizzare i mezzi a disposizione per arrivare a più persone possibili. Se vi ho incuriositi potete trovare tutte le informazioni a questo link, e io prometto che mi impegnerò a scrivere un po’ più spesso.

bit.ly/campagnaLibenter

photo credit: wuestenigel Close up of eggplant (Aubergine) via photopin (license)

La felicità è una fregatura?

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Wikipedia definisce la felicità non come UNO ma proprio come LO stato d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri.

L’etimologia fa derivare felicità da: felicitas, deriv. felix-icis, “felice”, la cui radice “fe-” significa abbondanza, ricchezza, prosperità.

A questo punto a me la fregatura sembra già evidente, ma purtroppo c’è una parte del nostro cervello che continua a credere che l’obiettivo di raggiungere questo stato d’animo positivo e mantenerlo per la maggior parte del tempo, non è soltanto possibile ma anche preferibile.

Proviamo a ragionare insieme. Cosa attiva il desiderio in noi? A parte quelli più legati alla sopravvivenza si intende, che sono biologici, istintivi e preziosi. Ma tutto il resto, tutti i desideri che ci invadono la mente, da dove arrivano? E come mai hanno un ruolo così importante, tanto da mettere continuamente a rischio la nostra felicità?

La nostra mente ci porta a credere, per quel suo difetto di dover trovare la coerenza ad ogni costo, che se una cosa è desiderabile da una fetta universalmente riconosciuta importante di popolazione, allora quella cosa ha un valore, e averla ci renderà felici. A sostegno di questa affermazione vi invito a prendervi 15 minuti del vostro tempo per guardare questa TED: Il prezzo della felicità. Benjamin Wallace è un curioso e attento giornalista e scrittore che fa un’analisi interessante della relazione che c’è tra alcuni dei prodotti più rinomati e pregiati e la tendenza della nostra mente ad attribuire un giudizio positivo proprio a causa di questo riconoscimento da parte della “gente che conta”. (Ci sono i sottotitoli in tutte le lingue che desiderate!)

Una delle conclusioni più utili ai fini di questo articolo è legato allo studio che il giornalista descrive in chiusura, pubblicato dai ricercatori di Stanford e Caltech. Per valutare il potere delle nostre credenze, hanno proposto ad alcune persone lo stesso vino, ma con differenti etichette del prezzo. Molti hanno dichiarato di preferire i “più cari”. Si trattava dello stesso vino, ma loro credevano che fosse un altro, più costoso. La cosa stupefacente è che i ricercatori hanno effettuato una risonanza magnetica del loro cervello mentre degustavano il vino, ed è emerso che non solo preferivano il vino che credevano più caro, ma il loro cervello elaborava un piacere più intenso quando lo stesso vino aveva un’etichetta con un prezzo maggiore.

Adesso è un po’ più chiaro perché la felicità è una fregatura?

Per prima cosa è legata alla soddisfazione di desideri che la società stessa in cui viviamo ci fa credere essere necessari da soddisfare (ad esempio avere una casa di proprietà rende felici in Italia, ritenuti folli in Svizzera ad esempio);

La seconda è in qualche modo ci intrappola. Se ci pensiamo, dopo aver ottenuto qualunque attimo di felicità, cadiamo in una sorta di empasse, delusione e crescente desiderio di ritrovare la sensazione provata poco prima. Così come lo zucchero, come il cioccolato e come la droga, questa illusione sponsorizzata dalla società in cui viviamo crea un fortissimo meccanismo di dipendenza.

E allora come fare?

Vi siete mai chiesti quante altre cose si possono provare oltre alla felicità? Se togliamo un po’ di attenzione e di aspettativa da una meta che abbiamo già visto essere una trappola, forse potremmo accorgerci delle infinite possibilità di vivere qualcosa di profondo e significativo nella strada che percorriamo. Quindi, per lo meno, potremmo considerare la possibilità che nel viaggio da qui alla felicità potrebbero esserci sensazioni altrettanto intense, meno tossiche e magari anche più soddisfacenti.

photo credit: Bennilover “It’s the little things….” via photopin (license)

La ricerca della verità

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Per vivere e sopravvivere è necessario assecondare la spinta (innata ed evolutiva) a muoverci verso qualcosa, senza questa spinta ci spegneremmo, senza dubbio. Leggendo articoli, libri divulgativi e parlando con le persone interessate al tema del benessere, mi sono accorta che va sempre più di moda muoversi alla ricerca di qualcosa che dia certezze assolute, un punto stabile su cui costruire il futuro, le relazioni, i progetti, pensando che in quella stabilità esista una sorta di verità inconfutabile.

Per approfondire questo tema mi affido a qualche ricordo che riaffiora alla mia memoria di studentessa. Aristotele descriveva così la ricerca della verità:

“La ricerca della verità sotto un certo aspetto è difficile, mentre sotto un altro è facile. Una prova di ciò sta nel fatto che è impossibile ad un uomo cogliere in modo adeguato la verità, e che è altrettanto impossibile non coglierla del tutto: infatti, se ciascuno può dire qualcosa intorno alla realtà, e se, singolarmente preso, questo contributo aggiunge poco o nulla alla conoscenza della verità, tuttavia, dall’unione di tutti i singoli contributi deriva un risultato considerevole (…) E, fors’anche, poiché vi sono due tipi di difficoltà, la causa della difficoltà della ricerca della verità non sta nelle cose, ma in noi. Infatti, come gli occhi delle nottole si comportano nei confronti della luce del giorno, così anche l’intelligenza che è nella nostra anima si comporta nei confronti delle cose che, per natura loro, sono le più evidenti di tutte.”

Tralasciamo per un attimo tutte le riflessioni sul pensiero Aristotelico e concentriamoci sulla verità: quanta energia investiamo nella ricerca di qualcosa di vero, esterno a noi?

Il punto credo stia proprio nell’illusione che questa verità sia intrinseca alle cose, alle leggi del mondo, alle esperienze che viviamo. Ad esempio, se abbiamo vissuto una situazione spiacevole una volta, siamo portati a pensare che la seconda volta che si ripresenterà sarà dolorosa nello stesso modo nel corpo e nella mente. E questo, se impariamo ad osservare le cose per quello che sono, non è MAI vero.

Che risvolto ha, ad esempio, nella sofferenza?

Devastante, a mio avviso, perché ci assorbe tutte le energie. La capacità della nostra mente viene assorbita nel tentativo di anticipare situazioni che noi abbiamo già sperimentato come dolorose, oppure di ricordare esperienze che hanno “segnato” il nostro cammino, per non viverle più. E quando la mente (che di natura tende ad essere un po’ pigra) scivola in questi circoli viziosi perde l’energia che la spinge alla vita e perde il contatto delle cose così come sono privilegiando ricordi e anticipazioni sulle stesse.
Accorgersi di questo meccanismo significa smettere di interpretare il mondo all’interno di una cornice rigida, fatta di ricordi preconfezionati (spesso costruiti ad hoc dalla nostra mente) e questo non è solo un passo verso la serenità, ne è la chiave.
Imparare ad osservare le cose per quelle che sono è l’unica via per capire veramente quelle cose, quelle persone, quelle situazioni e soprattutto per dare a noi stessi la possibilità di essere qualcosa di più dei nostri ricordi.

Smettiamo di pensare di poter possedere la verità e permettiamoci di vedere con gli occhi ingenui della scoperta il nostro mondo interno e quello che ci circonda.
La verità non è la meta, è qui ed ora, momento dopo momento, sensazione dopo sensazione.

photo credit: aquigabo! Balance via photopin (license)

Internet si, internet no?

Internet o non internet? Si stava meglio quando si stava peggio? Ecco cosa suggerisce il New York Times:

Prima di fare qualunque cosa, anche accedere al mondo virtuale, chiediamoci tre cose per capire meglio le nostre intenzioni:
1. È vero?
2. È gentile?
3. È necessario?
Che ci crediate o no avrete meditato per ben 5 minuti, e aver compreso le vostre intenzioni vi farà avvicinare di più alla meta desiderata.
Provare per credere

 

Il mio caro amico stress

Ho scoperto di avere un nuovo amico nella mia vita. L’ho scoperto da poco perché ho passato gli ultimi anni a preoccuparmi per lo stress, influenzata da una letteratura scientifica troppo protezionistica nei confronti dei sintomi fisici così detti “spiacevoli”. Nell’ultimo periodo però ho iniziato a interrogarmi: come è possibile che un’attivazione fisica, innata, biologicamente determinata e involontaria possa essere così pericolosa per il corpo? Che scherzo è questo? Prima la natura ci fornisce di tutta questa impalcatura per reagire, poi se la usiamo mettiamo a rischio la nostra salute?

Non mi convince. Allora ho iniziato a cercare fonti meno sensazionalistiche e mi sono ritrovata piacevolmente sorpresa nello scoprire quanti studi sono stati fatti negli ultimi anni che hanno come obiettivo quello di indagare in modo più approfondito questa meravigliosa reazione del nostro corpo.

Wikipedia definisce lo “stress” una sindrome di adattamento e definisce “sindrome” come un insieme di sintomi e segni clinici che costituiscono le manifestazioni cliniche di una o diverse malattie. Quindi vedete come nell’immaginario comune lo stress sia erroneamente affiancato all’idea di malattia, di qualcosa che non va.

In questo articolo vorrei riabilitare il senso dello stress della nostra vita, perché forse, nel boom della psicopatologia del XXI secolo ci è finito senza farne davvero parte. Vi presento quindi questo video/talk, dove una psicologa illuminata e brillante ne racconta gli aspetti che mi hanno fatto cambiare idea e spero possa essere lo stesso per voi.

 

Obesità è

Il 10 Ottobre il #Centrolibenter ha lanciato una campagna di sensibilizzazione al tema dell’obesità: “cos’è e cosa non è obesità.”
Questo infatti suscita sempre molti pregiudizi, e a causa di questi e della sua complessità clinica, spesso i pazienti sono rimbalzati da un servizio di cura ad un altro senza trovare un posto dove essere accolti.
Ecco alcune delle immagini.
#obesityday #benesserepsicologico

Una bussola per il 2016

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Si chiude un anno e senza passare dal via siamo nel 2016, che ci piaccia o no. E si ricomincia con le scadenze, con i compleanni, con il freddo e poi il caldo, e via di seguito.

Questo trascorrere del tempo, senza che noi possiamo davvero averne il controllo, mi ricorda un romanzo di Isabel Allende, dove i ricordi si intrecciano alle riflessioni sulla sua vita, sulla sua opera e sul mondo contemporaneo:

La somma dei giorni

“I giorni prima del dolore.
I giorni dopo il dolore.
I giorni di Paula.
I giorni dopo Paula.
I giorni della vita.
La somma dei giorni.”

Ed è esattamente quello che facciamo quando siamo di fronte a una svolta significativa, quando arrivano i 30 o 40 anni, quando ci sposiamo o quando decidiamo di non farlo, quando dobbiamo fare una scelta importante per la nostra vita e per quella della nostra famiglia. Più semplicemente ci capita anche ogni volta che pensiamo ai buoni propositi per l’anno che verrà.

Ho fatto questa riflessione osservando i miei pensieri e ascoltando quelli delle persone intorno a me durante questo periodo natalizio e mi sono accorta che se ci guardiamo indietro, se ci giriamo a guardare la strada che abbiamo percorso fino a qui, scorgiamo tutti gli ultimi dell’anno, i compleanni, le persone, le esperienze lavorative che ci hanno portati qui oggi.

E adesso, per non ripetere gli errori, o scegliere con più saggezza e consapevolezza, proviamo a osservare tutto quel treno di vita con un atteggiamento curioso e gentile e provare a vedere se c’è un fil rouge che ci guida nelle nostre scelte.

Vi do un indizio: se fate questo esercizio con pazienza troverete una qualche costante che ci portiamo dietro ogni anno, grazie e nonostante i buoni propositi, grazie e nonostante gli ostacoli o le opportunità.

Quella costante è la nostra bussola, un po’ come quella di Jack Sparrow che ci mostra la direzione verso “la cosa che desideriamo di più”. E a cosa serve una bussola? A ritrovare la strada, o a scegliere, in modo consapevole, quella più adatta a noi.

E allora, buon 2016.

 

 

 

photo credit: Don’t lose yourself. via photopin (license)

Psicoterapia: Il caso di Sandro: la metodologia dell’incontro

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Dobbiamo diventare protagonisti della nostra vita che sta accadendo in questo preciso momento, senza aspettare che qualcosa o qualcuno venga a salvarci da una prigione da cui nessuno, se non noi stessi, può liberarci.
“Il caso di Sandro”.

“Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile”

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“Siate gentili con tutti quelli che incontrate perché non conoscete le battaglie che stanno combattendo’”

Mindfulness nel trattamento delle dipendenze patologiche

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La mindfulness può essere uno strumento di cura molto potente.
La capacità del sé di osservarsi in azione in modo non giudicante e non orientato a modificare in alcun modo ciò che si sta osservando, crea quello spazio, quel decentramento necessari a perseverare nelle proprie scelte e nei propri comportamenti anche in presenza di esperienze di vita dolorose e spaventose.