La bulimina nervosa come l’anoressia e il disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorder) fa parte della categoria dei disturbi del comportamento alimentare.
Ma che cosa differenzia una personalità bulimica da un’altra persona che episodicamente cerca soddisfazione mangiando dei dolci? Frasi come: “mi mangio un gelato perché me lo merito” oppure “ci vorrebbe proprio un pezzo di cioccolata per tirarmi su il morale” sono frasi di uso comune e sottolineano quanto il cibo venga spesso utilizzato come una ricompensa, una “coccola” che ci permettiamo di tanto in tanto.
Nelle persone che soffrono di bulimia questi pensieri sono pervasisi e inevitabili. La voglia di cibo viene avvertita come un impulso rifiutato e irrefrenabile che ha per conseguenza un comportamento da nascondere, accompagnato da un forte senso di vergogna. La grande sofferenza che ne deriva ha a che fare con il senso di inadeguatezza, di discontrollo sulla propria vita, di perdita del valore personale. Il caso di Sara è esplicativo proprio di queste sensazioni di vuoto e di insoddisfazione che accompagnano chi soffre di Bulimia Nervosa.
La nota più delicata è che la bulimia viene considerata meno grave dell’anoressia nervosa perché ha una sintomatologia meno eclatante: spesso infatti il soggetto è normo peso e le condizioni mediche sembrano apparentemente meno rischiose per la sua vita. Non bisogna dimenticare però che, dietro questa apparenza, si celano una grandissima sofferenza e dei pensieri depressivi che possono essere pericolosi proprio perché nascosti. Spesso i pazienti raccontano di quanto avrebbero voluto essere fermati, essere compresi o anche semplicemente essere visti nella loro sofferenza.
L’approccio terapeutico costruttivista situa anoressia, bulimia e obesità lungo un unico continuum, dal momento che questi disturbi presentano, nella maggior parte dei casi, un’origine simile. E’ frequente infatti che in seguito ad una remissione della sintomatologia restrittiva (dieta ferrea) il paziente cominci a fare delle abbuffate e viceversa. E’ importante comprendere il senso del sintomo alimentare e delle finalità dei comportamenti che sia il digiuno o le abbuffate, il vomito o l’iper-attività fisica, il calcolo infinitesimale delle calorie o l’abuso di lassativi e diuretici. Ed diventa quindi altrettanto importante guardare oltre il sintomo, che si tratti di anoressia o bulimia quello che è necessario comprendere è che si tratta di un essere umano incastrato da una sofferenza talmente grande da non permettergli di trovare da solo le risorse per farvi fronte.
Photo credit: Topeka & Shawnee County Public Library / Foter / CC BY-NC-SA
E’ molto difficile capire di avere un disturbo alimentare, soprattutto quando nell’immaginario comune si crede che chi ce l’ha per forza debba essere molto magro e si “punta il dito” su chi in compagnia mangia poco. Il problema è che ad esempio io, sono proprio il contrario! Una ragazza in salute (per salute intendo che sono una tipa da maniglie dell’amore e cellulite!) che ama mangiare e di bocca buona.. ho scoperto di avere un disturbo alimentare lieve solo quando, non potendomi più sopportare a causa del mio lieve sovrappeso mi sono recata da una dietologa per poter perdere quei kg di troppo che fanno in modo che io non mi senta a mio agio.
Qualche medicinale aiuta, nel mio caso ad alleviare il senso di fame nervosa, ma è il comprendere di avere un problema (anche se piccolo, nel mio caso) che fa la differenza!
Il tuo blog è molto utile.. Grazie!
Veronica 😉
Grazie Veronica, soprattutto perché sottolinei un aspetto molto importante: le molteplici sfumature della sofferenza. Nei disturbi del comportamento alimentare come in tutte le altre forme di “sofferenza mentale” non esiste la condizione sano vs malato. Tutti oscilliamo in questo continuum ed è importante iniziare a riconoscerlo.
Trovo confortante sapere che altre persone oltre me provano lo Stesso senso di vergogna nell’abbuffata; mi fa piacere che si possa definire in qualche modo lo stimolo del cibo così come lo percepisco io. Non ho mai dubitato invece, che fosse il segno di una sofferenza nascosta.potresti darci altre informazioni sull’approccio di cui parli?sembra molto interessante!
Grazie Maria per aver condiviso il tuo pensiero. Secondo l’approccio cognitivo-costruttivista non esiste una realtà oggettiva uguale per ognuno, ma esiste una realta’ differente a seconda di chi la guarda.
E’ la persona stessa quindi che crea la sua realta’, la inventa e la costruisce secondo le proprie regole interne, su cio’ che osserva e vive, in base al suo mondo interiore e alle sue esperienze di vita. In questa prospettiva quindi anche i sintomi sono un modo molto soggettivo di esprimere la propria sofferenza. Se due persone soffrono di attacchi di panico è importante indagare il significato che ognuno di loro da a quel sintomo: quando si manifesta? Dove? con chi? che significato hanno quei posti e quelle persone per lui? Lo stesso discorso vale per le abbuffate e per tutti i modi in cui manifestiamo il nostro disagio.