Sara ricorda quando da adolescente, a notte fonda, sicura di non essere vista, sentiva i suoi stessi passi mentre si dirigeva in cucina:
“Assalita dalla fame, come molte altre volte, come un rituale, scendo di corsa in cucina con il pensiero fisso al frigorifero. La mia mente è annebbiata, riesco solo a pensare a una cosa: soddisfare quella irrefrenabile voglia di inghiottire e di saziarmi per colmare quel profondo senso di vuoto interiore. Dopo un tempo che mi sembra interminabile, soddisfatta l’urgenza della fame nervosa, rimetto tutto a posto e mi dirigo lentamente verso il bagno per concludere quello che ho cominciato, vomito tutto. Il senso di pace dura una manciata di secondi e i sensi di colpa iniziano ad affiorare. Comincio a piangere, come tante altre volte, rimproverandomi di una cosa che non so come controllare. Vorrei solo essere “normale”, vorrei che gli altri vedessero e capissero questa sofferenza per non farmi sentire continuamente inadeguata e debole.”
Sara si descriveva come una fallita, un’incapace che non sapeva fare niente. Laureata in tempo, ottimo curriculum scolastico, non riconosceva i suoi traguardi perché prevaleva quel senso di demoralizzazione, solitudine che le ricordava il suo poco valore. Sua mamma si misurava sempre con lei sul piano fisico: “devi mangiare di meno; se continui così poi certo che piangi; guarda le tue amiche come sono magre; guarda me” incastrandola in un continuo confronto con gli altri fin da quando era piccolina. Sara é stata una bambina ossessionata dalla prestazione e dall’apparenza “Devo essere la più bella, la più brava, la più vista” esponendosi così a fallimenti continui e dolorosi. Posta di fronte ai suoi limiti interiori e esteriori (che ognuno di noi ha) entrava in uno stato di depressione, aveva crisi bulimiche, si rinchiudeva nel suo nido e odiava profondamente se stessa e il mondo fuori. Era molto attaccata alla madre, affascinante e estremamente efficiente e cercava di imitarla, nonostante lei fosse molto svalutante nei suoi confronti. Il padre per lei era assente, in secondo piano, avrebbe potuto proteggerla e sostenerla ma probabilmente era anche lui incapace di contrastare il carattere dominante della madre.
La terapia
Il trattamento inizia a dare i suoi frutti quando Sara si rende conto che ha davanti a lei una persona che non la giudica in nessuna situazione anche in seguito alle innumerevoli prove che sottopone al terapeuta. Arriva spesso in ritardo, è svalutante e giudicante nei confronti del terapeuta, è critica verso la terapia. Nonostante questa apparente oppositività però continua a andare alle sedute e piano piano in lei cambia la rappresentazione che ha di sé: l’immagine della ragazzina grassa, non amabile e di poco valore viene sostituita da quella di una donna con una storia difficile, sofferente che non riesce a fidarsi di nessuno. Passare dal giudizio del valore di sé alla legittimazione della sofferenza le è servito per giustificare la fatica che faceva per vivere. In seguito Sara è riuscita ad apprezzare e valorizzare alcune caratteristiche di sé, auto-osservandosi e trovando la forza di affidarsi ad alcune persone intorno a lei.
Ora per Sara la vita è più semplice, sente di avere un posto in questo mondo, sente di averlo scelto e in qualche modo di esserselo meritato.