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Molte persone hanno una specie di bug: credono che l’intelligenza sia un fine. Hanno un’unica idea in testa: essere intelligenti, e questa è una cosa stupidissima. E quando l’intelligenza crede di essere uno scopo, funziona in modo strano: non dimostra la sua esistenza con l’ingegno e la semplicità dei suoi frutti, bensì con l’oscurità della sua espressione. Muriel Barbery
Che cos’è l’intelligenza? Come si misura? E’ possibile che alcuni siano più intelligenti di altri?
Il tema dell’intelligenza è stato dibattuto per molto tempo proprio perché a queste domande non esiste risposta univoca. O forse una risposta c’è e ha a che fare con la complessità della nostra mente.
La definizione sottoscritta da 52 ricercatori nell’articolo “Mainstream Science on Intelligence“ rende bene l’idea della complessità:
« [Dicesi intelligenza] Una generale funzione mentale che, tra l’altro, comporta la capacità di ragionare, pianificare, risolvere problemi, pensare in maniera astratta, comprendere idee complesse, apprendere rapidamente e apprendere dall’esperienza. Non riguarda solo l’apprendimento dai libri, un’abilità accademica limitata, o l’astuzia nei test. Piuttosto, riflette una capacità più ampia e profonda di capire ciò che ci circonda – “afferrare” le cose, attribuirgli un significato, o “scoprire” il da farsi. »
Personalmente la prima volta che ho letto questa definizione ho fatto un sospiro di sollievo: “afferrare” le cose, attribuirgli un significato, o “scoprire” il da farsi” non è qualcosa di innato, qualcosa che forse il tuo vicino di banco delle elementari aveva e tu no. E’ qualcosa che si coltiva con le esperienze, un’abilità che diventa via via più acuta e fine a seconda di come la utilizziamo, del contesto sociale in cui siamo inseriti, dagli stimoli che abbiamo ricevuto, da quelli che abbiamo cercato.
Come tutte le funzioni, anche l’intelligenza possiede una base innata e genetica (anche se non ancora scientificamente quantificabile), qualcuno infatti possiede un bagaglio più fornito in partenza, e gli altri? Gli altri cercheranno strategie, affineranno competenze diverse per raggiungere gli stessi scopi, a volte, con risultati anche più soddisfacenti. Il nostro cervello assorbe continuamente, è in continuo cambiamento, sta a noi il compito di continuare a stimolarlo senza precluderci opportunità.
L’intelligenza emotiva
Daniel Goleman (autore del libro “Intelligenza emotiva“) si è concertrato sulla parte più relazionale della nostra mente, quella capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie emozioni e quelle degli altri. L’obiettivo del libro è è quello di vedere l’intelligenza da diversi punti di vista, oltre il QI:
“Perché persone assunte sulla base di classici test d’intelligenza si possono rivelare inadatte al loro lavoro? Perché un matrimonio può andare a rotoli anche se il quoziente intellettivo di entrambi i coniugi è altissimo? La facoltà che governa settori così decisivi dell’esistenza non è l’intelligenza astratta dei soliti test, ma una complessa miscela in cui hanno un ruolo predominante fattori come l’autocontrollo, la perseveranza, l’empatia e l’attenzione agli altri. L’intelligenza emotiva consente di governare le emozioni e guidarle nelle direzioni più opportune; spinge alla ricerca di benefici duraturi piuttosto che al soddisfacimento degli appetiti più immediati; si può apprendere, perfezionare e insegnare ai bambini, rimuovendo alla radice le cause di molti e gravi squilibri caratteriali. Un saggio appassionante che ci mostra le potenzialità enormi dell’intelligenza umana.”
photo credit: Gwenaël Piaser via photopin cc