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È utile avere un’ossessione: ci distrae. Joan Fuster

ossessione-DOCI pensieri ossessivi caratterizzano numerosi disturbi in psicopatologia. Il Disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è quello più rappresentativo ma in realtà quasi tutta sofferenza mentale è carica di pensieri ruminanti, invasivi, intrusivi che non ci permettono più di funzionare nella vita di tutti i giorni.

In questi mesi abbiamo affrontato diversi tipi di organizzazioni di personalità e parlando di ossessioni possiamo trovare un fil rouge che le caratterizza: il pensiero fisso sul cibo e sul peso di una persona che soffre di Anoressia Nervosa, oppure il pensiero costantemente orientato ad evitare luoghi o oggetti ritenuti pericolosi per una persona che soffre di attacchi di panico, o ancora il rimuginio invalidante di una persona che soffre di depressione o demoralizzazione.

Nei casi appena descritti il pensiero ossessivo è una condizione necessaria (ma non sufficiente) al mantenimento del disturbo, si tratta di un funzionamento cognitivo rigido, orientato e concentrato su un piccolo dettaglio che viene innalzato a unico obiettivo. In realtà però tutti i giorni abbiamo a che fare con amici, colleghi e parenti che possono avere qualche scivolamento ossessivo senza essere ritenuti “matti”. Conosciamo ad esempio persone che devono asciugare tutte le gocce del lavandino, avere i calzini ordinati per colore, tenere la macchina sempre splendente,  avere i cd in ordine alfabetico…significa che siamo tutti matti?

Certo che no, inoltre come sapete l’aggettivo “matto” non ha più molto valore. La rigidità ossessiva che alcune persone mostrano in determinate situazioni è un meccanismo a loro utile per fare ordine, mettere dei punti fermi e assicurarsi una buona dose di certezza laddove forse ne sentono un pò la mancanza. Focalizzare l’attenzione su qualcosa che posso controllare mi assicura una certa dose di prevedibilità e la prevedibilità a sua volta mi permette di sentirmi stabile.

Il caso di Mattia

Mattia mi racconta di avere un pensiero ossessivo che non gli permette più di uscire di casa e avere delle relazioni con i suoi pari. Ha 21 anni, studia chimica e il pensiero dello studio lo assilla continuamente. Si sveglia nel cuore della notte perché gli sembra di aver dimenticato alcune delle parole memorizzate durante la giornata, e visto il programma serrato che si è prefissato, non può permettersi di rimanere indietro. Studia 12 ore al giorno e, quando è troppo stanco e vorrebbe fare una pausa, emerge un altro pensiero intrusivo: “mentre tu fai pausa, qualcun altro sta studiando“. L’ansia lo obbliga a rimettere la testa sui libri. Mattia prova vergogna, colpa, senso di responsabilità, emozioni complesse che non riesce a gestire se non servendosi delle sue spiccate abilità cognitive. Il risultato è che se si lascia andare alle emozioni e fallisce sentirà un forte senso di responsabilità dovuto alla convinzione di non essere riuscito a gestire in modo impeccabile se stesso e il mondo che lo circonda.

La psicoterapia ha aiutato Mattia a rendere il suo pensiero e il suo giudizio sul mondo più flessibili, permettendogli così di integrare e cogliere diverse sfumature della realtà costruendo un senso di sé coerente e stabile.

photo credit: Jez Page via photopin cc