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Molte volte parte della sofferenza risiede nella percezione di avere poca fiducia in se stessi. Alcune persone chiedono, in terapia, di lavorare sull’autostima per ritrovare la fiducia in se stessi. Ma di cosa parlano realmente?

Provate a pensare: cosa significa credere in se stessi?

Significa credere nelle proprie capacità, nelle risorse, nelle strategie che abbiamo appreso per far fronte alla difficoltà, ai fallimenti. Significa avere fiducia sul fatto che comunque vada, ce la caveremo. Significa credere nelle scelte che abbiamo fatto, che riconosciamo come nostre e che rispecchiano i nostri bisogni. Non è mica roba da niente.

Come si costruisce l’autostima?

La fiducia in se stessi non è una cosa innata, ma una caratteristica che si apprende nel corso delle esperienze e questo è rassicurante perché significa che possiamo allenarla in qualunque momento della nostra vita. Solitamente si sviluppa con la crescita del bambino che si trova a dover far fronte a grandi difficoltà (almeno per la sua portata) e impara, giorno dopo giorno, su quali risorse interne (creatività, fantasia, carattere, temperamento..) o esterne (genitori, gruppo scuola…) poter fare affidamento. Questo apprendimento farà parte di un personale bagaglio di conoscenze e competenze che permetteranno al bambino di sentirsi sicuro nell’affrontare il mondo.

Proprio come noi prima di un lungo viaggio, il bambino colleziona esperienze che pensa potranno servirgli, costruendosi un vero e proprio bagaglio di valori che gli saranno utili per comprendere il mondo, e una serie di comportamenti, convalidati nel tempo, che utilizzerà per agire e reagire nella vita quotidiana. Nel fare questo si serve del prezioso insegnamento di mamma e papà, ma anche del contesto più allargato come il resto della famiglia o la scuola.

La fiducia in se stessi è proprio parte di quel bagaglio che il bambino ha acquisito confrontandosi con le prime sfide e riconoscendosi agente nelle relazioni significative: “hey, mamma sta guardando proprio me mentre faccio questa torre altissima e crede molto in me, se ci crede lei significa che posso farcela, significa che sono bravo.”

Ma se nel nostro bagaglio non ci sono esperienze che rinforzino la notra autostima significa che siamo spacciati?

No, significa che siamo obbligati ad affrontare una serie di lacune e di “mancanze” che dobbiamo imparare ad accettare e andare avanti, cercando un modo alternativo per essere riconosciuti come competenti e degni di fiducia. Ci sono molte strategie cognitivo – comportamentali per allenare questa capacità come ad esempio lavorare sui pensieri disfunzionali “non sono degno”, “non sono capace” oppure rinforzare i comportamenti positivi. Queste strategie ci possono insegnare a gestire la nostra vita in modo diverso e sono ottime in alcuni casi.

In una psicoterapia però accade qualcosa di speciale, poco standardizzabile e ancora meno scientifico: si ricomincia. Si rileggono i passaggi della propria vita con delle lenti diverse, ci si apre a qualcuno che ci osserva senza pregiudizi o “etichette” legate al nostro vissuto ma che, con curiosità, ci aiuta a capire il senso e il fine delle scelte che abbiamo fatto, quelle scelte che in qualche modo ci caratterizzano e che a volte ci fanno provare vergogna. Così facendo ci riappropriamo dei nostri personali valori. Aprirsi in una relazione terapeutica significa riaprire quel bagaglio che ci siamo portati dietro, fare pulizia delle cose che non ci sono utili, e permettere alle nostre personali capacità di riemergere. Vedere la fiducia del nostro terapeuta ci permetterà di provare, fallire e riprovare fino a quando non avremo riempito il nostro bagaglio di ciò che ci è sufficiente per continuare il nostro viaggio da soli.

photo credit: Lotus Carroll via photopin cc